Che cosa è cambiato?
Ci siamo già dimenticati tutto quello che abbiamo dovuto affrontare?
La frenesia di un ritorno a ciò che era prima potrebbe riflettersi in una difensiva modalità di allontanare ciò che di così spaventoso, brutale e sofferente ci ha sopraffatto per un lungo periodo.
Durante questo particolare momento storico abbiamo fatto i conti con quello che è il nostro sentire più puro, spogliato di ogni qualsivoglia maschera e poiché scoraggiati e in preda a tanta spaventosa incertezza ci siamo rifugiati in un mondo di promesse autodirette e autoimposte: promesse di cambiamento, di miglioramento, di rotture e di ripristino di un ordine nuovo.
Ciò, pensato, forse difensivamente per poter avere almeno l’illusoria percezione di controllo sulla nostra realtà e per fronteggiare un momento in cui tale controllo era ormai estraneo a tutto il genere umano nella sua interezza.
L’idea di poter decidere della nostra esistenza, nelle sue esplicazioni più concrete, aveva aspetti notevolmente confortanti.
Ecco allora che sbocciano desideri, pensieri, realtà rinnovate e ci si proietta in uno scenario ameno denso di nuove possibilità, così belle e confortanti in quanto da noi volute e controllate.
Abbiamo ripreso in mano la trama della nostra vita, intessuta di tutto quel bagaglio emotivo che questa epidemia ha generato in noi, con la difensiva speranza che le cose sarebbero cambiate. Ci siamo voluti ri-educare al mondo sociale o forse era solo ciò che ci auguravamo.
Il desiderio si scontra veracemente con il dato di realtà, che spesso con la sua brutalità ci obbliga a guardare con occhi meno sognanti ciò che si delinea innanzi a noi: la prospettiva di una realtà tanto agognata e bramata che di fatto è rimasta tale e quale a prima.
La vita dell’essere umano nella sua socialità più intensa riparte ma lasciando indietro qualcosa: proprio quel bagaglio di promesse di cambiamenti personali che aveva tenuto il passo fin a quel momento, ora si fa da parte. Questo bagaglio viene meno, è lasciato lì in un angolo, come una valigia ormai impolverata che un tempo si fece portatrice di grandi sogni e speranze, ora dimenticata dal suo proprietario.
La frenesia della quotidianità è ricominciata e quel tempo sembra nuovamente impoverirsi e pure il domandarsi “cosa sia davvero cambiato” sembra non trovare già più spazio nelle nostre menti, sopraffatte di nuovo.
Fermandosi davvero a riflettere su quello che è cambiato in noi dopo questi mesi la risposta non sembra lasciare adito a troppe interpretazioni: niente, non è cambiato niente.
La realtà si è riappropriata del suo legittimo posto, non solo; sono anche tante le forze investite per ripristinare ogni granello della nostra esistenza e far sì che nuovamente tutto venga a combaciare perfettamente come nella quotidianità pre-pandemica.
Tutta l’energia viene investita per cercare il ripristino del “prima”, quasi come se la memoria di ognuno avesse una durata breve o fosse attiva solo in momenti in cui la tensione è alta.
Inconsciamente la domanda che ci poniamo potrebbe proprio avere a che fare con la memoria: ci siamo già dimenticati tutto quello che abbiamo dovuto affrontare?
La frenesia di un ritorno a ciò che era prima potrebbe riflettersi in una difensiva modalità di allontanare ciò che di così spaventoso, brutale e sofferente ci ha sopraffatto per un lungo periodo.
Ma la memoria rimane attiva ad un qualche livello di coscienza: le esperienze plasmano la mente e i processi mnestici.
Come il bambino costruisce il racconto della sua vita futura sulla base degli eventi del suo passato così anche noi, dopo questo primo momento, tesseremo le fila di una realtà nuova rievocando dentro di noi ciò che è stato.
Agiamo e pensiamo senza sentire il peso e senza riconoscere l’influenza delle nostre vicissitudini passate ma, dinnanzi a esperienze significative che possano far riaffiorare, per similitudine, certi vissuti emotivi, agiremo in considerazione di ciò che abbiamo esperito e forse lì avverrà il cambiamento.